La tecnica non ha confini
Quello che trovate in questo articolo è la versione originale dell’editoriale che ho pubblicato su Auto Tecnica di febbraio, il numero in edicola in questo periodo. Nel passare dalla mia versione originale, che potete leggere qui, a quella pubblicata su Auto Tecnica sono state apportate piccole modifiche di forma che non hanno avuto impatto sui contenuti. Siete in molti a chiedere quale sia la mia posizione quando si parla di auto. Penso che questa nota possa essere una buona risposta alla domanda.
Sono cresciuto nell’Europa dei motori ma condivido anche la filosofia americana. Sono sempre rimasto affascinato dall’esuberanza dei motori sovralimentati ma ho sempre pensato che potenza e coppia siano migliori se ottenute con un aspirato di grossa cilindrata. Ho sempre riconosciuto la raffinata tecnologia europea ma ho dovuto fare i conti con una passione che si misura a cubic inch. Ho creduto nella sportività di un’auto europea ma ho provato il brivido di una vera emozione solo guidando una muscle car americana. Penso anche di non essere mai stato un buon esempio in fatto di rispetto ambientale. Il protocollo di Kyoto e l’effetto serra, conseguente all’emissione di CO2, sono sempre passati in secondo piano di fronte al gorgogliare di un V8 con bancate a 90° e manovelle sfasate dello stesso angolo. Ancora meglio se di fattura yankee. Tutti pensieri che messi insieme mi hanno spesso costretto a difendere una posizione difficile, soprattutto di fronte a chi oggi, con uno sforzo immane, cerca di spremere cavalli e newtonmetri da un quattro cilindri di poco superiore al litro di cilindrata. Cercando allo stesso tempo di limitare consumi ed emissioni allo scarico. Malgrado queste considerazioni, e in seguito alla lettura di un editoriale di John M. Clor sulle pagine di Mustang Enthusiast, un noto magazine americano, mi sembra doveroso riportare alcune considerazioni che dovrebbero far riflettere. Nelle tre pagine di "Washington affronta Detroit: l’audacia dei dopati", questo, più o meno, il titolo originale dell’editoriale tradotto nella nostra lingua, Clor risponde efficacemente ad alcune affermazioni che sembrano ormai divenute degli slogan pubblicitari ma che, se analizzati con attenzione, e con un minimo di conoscenza storica e tecnica dell’argomento, non sono altro che il frutto della pazzia di chi vuole fare disinformazione. Iniziamo con la risposta più ovvia che si può dare a chi afferma che "nessuno ormai vuole comprare da tempo le auto che le tre grandi di Detroit continuano a costruire". Beh, senza avere una laurea in Ingegneria basta fare due conti per scoprire che solo negli Stati Uniti Chrysler ha venduto nel 2007 più auto di quanto abbiano fatto Nissan e Hyundai messe assieme. Sempre nel 2007 Ford ha superato Honda nelle vendite, sempre su suolo americano, di ben 850.000 veicoli e Nissan di 1.3 milioni. E cosa dire di GM che ha venduto, nel solo 2007, 1.2 milioni di veicoli in più di Toyota e che comunque rimane il più grande costruttore di veicoli al mondo. Continuiamo quindi con un altro adagio ormai sulla bocca di tutti. "I costruttori di Detroit si lanciano sempre nella costruzione di veicoli assetati di combustibile e non si preoccupano di realizzare auto piccole capaci di consumare poco". E allora chi crede ciò forse dovrebbe fare mente locale, o se vogliamo una breve ricerca storica, per scoprire che vent’anni fa GM aveva tentato di commercializzare la Geo Metro, vettura che era in grado di consumare come una moderna Toyota Prius, anzi meno. Oppure, sottolinea sempre Clor, cosa dire del fatto che ancora oggi qualche americano gira su una Ford Escort ZX-2 di una decina d’anni fa, un’auto capace di raggiungere la fatidica soglia delle 30 miglia per gallone (quindi un motore a capace già allora di consumare mediamente sui 12.5 km/l). Ma veniamo ad oggi. Una Chevrolet Malibu, continua lo stesso Clor, fa segnare 33 miglia per gallone (circa 14 km/litro), un consumo migliore della migliore Honda Accord in commercio (naturalmente sempre a benzina). O ancora. Una Ford Focus combatte ad armi pari, in fatto di consumi, con la Corolla di casa Toyota. E cosa dire della Chevrolet Cobalt che offre economie di esercizio migliori dell’ultima versione della Civic. La verità è che le Tre Grandi costruiscono da tempo anche auto paragonabili a quelle europee ma il mercato interno non ha mai risposto adeguatamente. Non le ha mai recepite. E il motivo è legato principalmente alle esigenze, completamente differenti, del tipico cliente americano. Un problema geografico che ha costretto i car maker americani a privilegiare robustezza e affidabilità. E in ogni caso se SUV e Pickup fossero veramente arrivati al capolinea, prosegue sempre Clor, non ci si spiega perchè tutti i maggiori costruttori europei e giapponesi stiano spendendo una valanga di quattrini per realizzare questo genere di veicoli. Ma non solo. Oggi costruttori come Toyota, Honda e Nissan pagano una tassa di 600 dollari per ogni veicolo importato negli States mentre il governo giapponese impone un dazio di 14.000 dollari per ogni vettura a stelle e strisce in arrivo sul proprio mercato. Si discute molto del fatto che il governo americano abbia pensato di concedere il prestito ponte a due delle tre grandi di Detroit (GM e Chrysler) ma nessuno sottolinea che questo potrebbe rivelarsi uno dei migliori investimenti messi a segno dallo stato americano in questo periodo di crisi. L’editorialista americano prosegue ricordando che quando, nel 1983, Chrysler chiese il prestito allo stato fu in grado di restituire il suo debito con sette anni di anticipo e che comunque il tutto fruttò al tesoro del governo americano un profitto pari a circa 311 milioni di dollari. "A lungo si possa dire ancora Made in Detroit. E speriamo almeno per altri 100 anni." Con queste parole Clor conclude un editoriale che chiarisce molto bene la posizione in cui si trovano a lavorare le Tre Grandi del Michigan. Tutta quanto detto, aggiungo io, non venga interpretato come una strenua difesa dei colossi di Detroit. La polemica vuole essere solo di monito a chi pensa che la passione per le auto possa essere vissuta solo a senso unico. La tecnica non ha confini. Chi si occupa di tecnica non può pensare di cavalcare una causa o l’altra. Il gusto e le idee personali sono una cosa. Fare comunicazione un’altra. Io non voglio fare distinzioni tra i mercati, americano, europeo o asiatico. Mi tengo saldamente lontano da questo modo di vedere. Personalmente continuo a sostenere quanto segue. L’automobile è un prodotto nato per servire l’uomo ma è diventato da tempo anche un oggetto di piacere e di culto. E credo che su questo fatto siano pochi coloro che mi possano smentire. La differenza che passa tra un V8 da 5 litri e un 4 cilindri turbodiesel da 2 litri potrebbe essere la stessa che esiste tra ciò che piace e ciò che serve. Io non privilegio ne l’uno ne l’altro aspetto. Che piaccia, o che sia utile, non mi importa. L’importante è che funzioni. E allora voglio capire come.
Archivio immagini: GM
Tags: none