SKF ha trovato un’eccellente soluzione al fenomeno del piston knock back grazie ad un’unità mozzo asimmetrica

Quello che in lingua anglosassone viene definito piston knock back è un fenomeno insidioso che interessa il sistema frenante delle auto, in particolare quelle ad elevate prestazioni. Ecco come SKF ha risolto il problema.

Quando si affronta una curva ad elevata velocità, magari con la superficie stradale che presenta delle variazioni di pendenza, e si aziona il pedale del freno si percepisce un allungamento della corsa del pedale. Questo fatto, abbastanza antipatico se si presenta su una vettura dalle prestazioni elevate, è dovuto ad un fenomeno che interessa le guarnizioni frenanti e il disco.
Nella pratica accade che quando le sollecitazioni scambiate tra terreno e pneumatico sono molto elevate il disco si deforma, spinge sulle pastiglie e provoca un allontanamento dei pistoncini. Quando si preme il pedale del freno nuovamente la corsa risulta allungata proprio perché i pistoncini devono riguadagnare la loro corretta posizione.
E’ bene fare attenzione ad un fatto importante: l’adozione di tarature più sportive per il sistema di sospensione potrebbe enfatizzare ulteriormente il problema, così come potrebbe farlo l’adozione di pneumatici più performanti. In tutti questi casi, infatti, le sollecitazioni sul disco e sul mozzo aumentano ulteriormente.
SKF e General Motors hanno lavorato molto sul problema durante lo sviluppo della Cadillac STS-V che presentava questo problema. Ricordo per inciso che le versioni V di Cadillac sono le più prestazionali e, nel caso specifico, si tratta di un’auto equipaggiata con un motore V-8 sovralimentato da 4.4 litri, 469 hp e 595 Nm.
Ciò che è stato dedotto durante queste ricerche è stato riportato su una pubblicazione SKF (Evolution) in cui si spiega come il layout di base del veicolo può complicare, a priori, la ricerca di soluzioni progettuali volte a ridurre la variazione di camber. D’altra parte l’uso di pneumatici ultra sportivi, come nel caso della Cadillac STS-V, rende meno favorevole l’alloggiamento del cuscinetto a causa del maggiore offset del cerchio. L’offset è la distanza tra il piano di appoggio del cerchio sul mozzo e il piano mediano del cerchio stesso (piano parallelo all’asse longitudinale e perpendicolare a quello trasversale del veicolo).

A queste si sono aggiunte altre osservazioni come ad esempio il fatto che le gomme più larghe offrono in generale più grip e quindi aumentano le forze scambiate con il terreno. Aumentano quindi anche le forze che tendono a deformare il sistema mozzo-disco. Sempre a causa delle ruote di maggiori dimensioni aumentano i momenti flettenti a causa del superiore braccio d’azione delle forze scambiate. Gli stessi dischi freno, quando sono di diametro elevato, danno origine a flessioni superiori in corrispondenza dei pistoncini. Infine il problema si presenta più accentuato nel caso delle pinze fisse con pistoncini su tutti e due i lati. Queste osservazioni sono il frutto dell’esperienze sviluppate dal colosso americano con SKF.

Come si legge sulla comunicazione di SKF quando l’azienda ha sviluppato la nuova unità mozzo ha dovuto tener conto sostanzialmente di quattro parametri: la geometria del mozzo, il precarico, il layout del cuscinetto e infine il punto attorno al quale la flangia del mozzo si flette. Il layout del cuscinetto in particolare va preso in considerazione puntando l’attenzione sulla distanza tra i centri di pressione, distanza che risulta proporzionale a quella delle corone. Questo discorso è chiaramente esemplificativo. In realtà altri parametri come, ad esempio, il diametro primitivo dei corpi volventi e l’angolo di contatto giocano un ruolo fondamentale.

Per farla breve, dopo aver analizzato tutte queste voci, i tecnici della SKF sono arrivati alla definizione di un’unità mozzo asimmetrica (X-Tracker) caratterizzata da soluzioni costruttive specifiche e con una flangia di spessore aumentato di 3 millimetri. In questo modo è stato ridotto l’effetto del piston knock back del 56% con ovvi benefici sulla guidabilità della vettura. Ad oggi SKF propone tre differenti versioni dell’unità X-Tracker: una a sfere, una ibrida con sfere e rulli conici e, infine, una a rulli conici.

Archivio immagini: General Motors, SKF




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Bill Mitchell e Zora Arkus Duntov
Stilisti ed ingegneri in lotta per far prevalere le proprie idee. Quello che vi racconto è lo scontro culturale tra un designer innamorato delle proprie creazioni ed un ingegnere di fama mondiale che voleva far prevalere praticità e razionalità. Ecco la breve storia di una discussione tra Bill Mitchell e Zora Arkus Duntov, due uomini che hanno fatto la storia della Corvette.

Lo scontro di opinioni tra stilisti e ingegneri è un argomento che ricorre spesso quando si parla di automobili; alcune di queste discussioni passano però alla storia. Io che ho un debole per la produzione automobilistica americana voglio ricordare ciò che accadde quando fu il momento di sviluppare la nota Corvette Stingray del 1963. I personaggi in questione sono due figure leggendarie dell’automobilismo americano: il primo, Bill Mitchell, allora vice Presidente del Centro Stile di General Motors verrà certamente ricordato come uno dei più grandi designer americani. L’altro, Zora Arkus Duntov fu un ingegnere di indubbie capacità che diede un contributo di notevole portata al prodotto Corvette.

Bene, due uomini incredibili ma molto diversi tra loro; sta di fatto che nel 1963, quando fu il momento di concretizzare il prodotto Stingray, nacque un’animata discussione oggetto della quale era proprio il lunotto posteriore sdoppiato che rese famosa la Stingray di quel periodo. Ad intervenire per sedare gli animi fu un personaggio al di sopra di tutti e dotato dei necessari poteri per mettere a tacere i due. Il suo nome era Ed Cole e lui era il General Manager del Gruppo Chevrolet. Mitchell, e il suo uomo di fiducia Larry Shinoda, allora chief designer, avevano sviluppato un linguaggio formale che esigeva per la Stingray del 1963 il noto lunotto sdoppiato. La costola di lamiera che separava i due vetri posteriori era il perfetto completamento di ciò che si poteva osservare guardando la parte frontale della vettura. Dal canto suo Duntov non era granché interessato all’espressione artistica che i due avevano sviluppato ed era, al contrario, seriamente preoccupato per i problemi di visibilità posteriore che tale soluzione offriva. La cosa era ancora più preoccupante se si pensa che la vettura doveva essere impiegata anche nelle competizioni. Fu così che in breve tempo quelle linee e quello stile che erano la passione di Mitchell divennero il tormento per Duntov. L’intervento di Ed Cole fu decisivo e fondamentale; ricordiamo a questo proposito che Ed Cole fu capo ingegnere del gruppo Chevrolet dal 1952 al 1956 data nella quale venne nominato General Manager. La decisione che Cole prese accontentò entrambi i contendenti e creò, allo stesso tempo, un mito: la Stingray del 1963.

Ciò che Cole decise, infatti, fu che entrambi i partecipanti alla discussione avevano ragione e pertanto, senza scontentare nessuno, decise che la Stingray con lunotto posteriore splittato sarebbe stata costruita per un solo anno, il 1963 e mai più. Questa fu anche l’ultima decisione che Cole prese nei panni di General Manager del gruppo Chevy visto che nel novembre del 1961 fu promosso executive vice president al posto di Semon E. Knudsen, un altro illustre personaggio di cui avrò modo di parlare.


Archivio immagini: General Motors