Arriva anche in Italia la Chevrolet HHR (Heritage High Roof) un’auto che, quanto a canoni stilistici, si ispira al leggendario Chevrolet Suburban del 1949

In un mercato come il nostro invaso da vetture a due volumi pressoché tutte simili non è certo difficile distinguersi con questa compatta Chevrolet. Studiata inizialmente per il mercato americano è stata importata ufficialmente anche in alcuni paesi europei tra cui il nostro. La potete trovare presso uno dei concessionari Chevrolet sparsi sul territorio nazionale.

Sin dal suo primo apparire è stata un’auto che ha fatto discutere. Molti che avevano familiarizzato con le linee della Chrysler PT Cruiser pensavano ad un clone in chiave Chevrolet. Ma la situazione è completamente differente!

Se la guardate bene la HHR non ha nulla a che fare con la PT Cruiser a meno della forma a due volumi con muso pronunciato e fari anteriori bassi. Ma vi faccio notare che questo genere di linee era già cosa nota nell’America dei primi anni ‘50. Vi allego, in fondo all’articolo, delle immagini che mostrano uno Chevrolet Suburban del 1949 per dimostrarvi quanto sto dicendo. Tornando al fatidico confronto con il prodotto Chrysler vi faccio anche notare come la HHR sia molto più muscolosa e più imponente. Quindi attenzione a non far confusione nel giudicare le linee dei prodotti americani che, più volte, si sono assomigliati, malgrado le differenze abissali in termini di contenuti. Vengo quindi alle caratteristiche tecniche della vettura.

Il motore scelto per la HHR è un 2.4 litri a benzina con configurazione a 4 cilindri in linea capace di sviluppare una coppia massima di 224 Nm e una potenza di 170 CV per una velocità di punta pari a 180 km/h. Attenzione perché stiamo parlando di un’auto dedicata alle famiglie, di un mezzo che fa del confort e della capacità di carico i suoi punti di forza. Non a caso, oltre al cambio manuale a cinque rapporti montato di serie, Chevrolet ha deciso di offrire anche una trasmissione automatica a quattro marce.

Il 2.4 litri sviluppato da Chevrolet è un 4 cilindri con doppio albero a camme in testa, 4 valvole per cilindro ed è dotato, aspetto da non sottovalutare, di due alberi controrotanti per equilibrare le forze alterne del secondo ordine. In altre parole si tratta di un propulsore silenzioso e praticamente esente da vibrazioni. Il corpo farfallato è a controllo elettronico, il che vuole dire che la vettura monta un sistema drive-by-wire. In altre parole il pedale dell’acceleratore non è più vincolato ad un cavo tradizionale ma un sistema elettronico ne valuta la posizione costantemente per decidere le strategie da applicare attraverso l’intero controllo della farfalla e del sistema di iniezione e di accensione. La regolazione del gioco valvole è affidata ad un sistema idraulico, soluzione tanto cara agli americani, mentre la movimentazione degli alberi a camme è affidata ad un sistema a catena.
Il layout del veicolo è però molto europeo ed infatti la trazione è affidata alle ruote anteriori mentre il sistema di sospensione prevede una configurazione Mac Pherson all’anteriore e un ponte semirigido al posteriore. La scelta di utilizzare un assale posteriore di questo genere è dettato molto dall’esigenza di liberare quanto più spazio possibile per il vano di carico, aspetto su cui la HHR non poteva mancare. La HHR è dotata di serie di un controllo elettronico della stabilità (noto con il nome di StabiliTrak), di ABS e di controllo della trazione. La HHR sarà distribuita in Europa esclusivamente nella versione con assetto sportivo (il pacchetto noto con la sigla FE3) e cerchi da 17″ che montano pneumatici 215/50 R 17.

Tutti gli allestimenti della Chevrolet HHR offrono un equipaggiamento di base generoso, con dotazioni di serie come il sedile guida regolabile elettricamente, gli alzacristalli elettrici, il cruise control, il climatizzatore, il volante in pelle che integra i comandi del sistema audio, inserti in pelle nei sedili anteriori e posteriori, radio con lettore CD, 7 altoparlanti e presa per lettori MP3 esterni e chiusura centralizzata con telecomando. Sul fronte della sicurezza passiva ci sono airbag anteriori a doppio stadio (con rilevamento presenza passeggero sul sedile di destra), airbag a tendina per entrambe le file di sedili e cinture di sicurezza anteriori con pretensionatore.

Archivio immagini: General Motors




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Bill Mitchell e Zora Arkus Duntov
Stilisti ed ingegneri in lotta per far prevalere le proprie idee. Quello che vi racconto è lo scontro culturale tra un designer innamorato delle proprie creazioni ed un ingegnere di fama mondiale che voleva far prevalere praticità e razionalità. Ecco la breve storia di una discussione tra Bill Mitchell e Zora Arkus Duntov, due uomini che hanno fatto la storia della Corvette.

Lo scontro di opinioni tra stilisti e ingegneri è un argomento che ricorre spesso quando si parla di automobili; alcune di queste discussioni passano però alla storia. Io che ho un debole per la produzione automobilistica americana voglio ricordare ciò che accadde quando fu il momento di sviluppare la nota Corvette Stingray del 1963. I personaggi in questione sono due figure leggendarie dell’automobilismo americano: il primo, Bill Mitchell, allora vice Presidente del Centro Stile di General Motors verrà certamente ricordato come uno dei più grandi designer americani. L’altro, Zora Arkus Duntov fu un ingegnere di indubbie capacità che diede un contributo di notevole portata al prodotto Corvette.

Bene, due uomini incredibili ma molto diversi tra loro; sta di fatto che nel 1963, quando fu il momento di concretizzare il prodotto Stingray, nacque un’animata discussione oggetto della quale era proprio il lunotto posteriore sdoppiato che rese famosa la Stingray di quel periodo. Ad intervenire per sedare gli animi fu un personaggio al di sopra di tutti e dotato dei necessari poteri per mettere a tacere i due. Il suo nome era Ed Cole e lui era il General Manager del Gruppo Chevrolet. Mitchell, e il suo uomo di fiducia Larry Shinoda, allora chief designer, avevano sviluppato un linguaggio formale che esigeva per la Stingray del 1963 il noto lunotto sdoppiato. La costola di lamiera che separava i due vetri posteriori era il perfetto completamento di ciò che si poteva osservare guardando la parte frontale della vettura. Dal canto suo Duntov non era granché interessato all’espressione artistica che i due avevano sviluppato ed era, al contrario, seriamente preoccupato per i problemi di visibilità posteriore che tale soluzione offriva. La cosa era ancora più preoccupante se si pensa che la vettura doveva essere impiegata anche nelle competizioni. Fu così che in breve tempo quelle linee e quello stile che erano la passione di Mitchell divennero il tormento per Duntov. L’intervento di Ed Cole fu decisivo e fondamentale; ricordiamo a questo proposito che Ed Cole fu capo ingegnere del gruppo Chevrolet dal 1952 al 1956 data nella quale venne nominato General Manager. La decisione che Cole prese accontentò entrambi i contendenti e creò, allo stesso tempo, un mito: la Stingray del 1963.

Ciò che Cole decise, infatti, fu che entrambi i partecipanti alla discussione avevano ragione e pertanto, senza scontentare nessuno, decise che la Stingray con lunotto posteriore splittato sarebbe stata costruita per un solo anno, il 1963 e mai più. Questa fu anche l’ultima decisione che Cole prese nei panni di General Manager del gruppo Chevy visto che nel novembre del 1961 fu promosso executive vice president al posto di Semon E. Knudsen, un altro illustre personaggio di cui avrò modo di parlare.


Archivio immagini: General Motors