Parametri e funzionamento di alcune tipologie di banchi prova sospensioni e freni in una breve nota tecnica destinata a coloro che desiderano avere qualche informazioni in più sulle logiche di funzionamento di questi strumenti

Freni e sospensioni sono due sottosistemi vitali per la sicurezza funzionale di un veicolo. Esistono metodi e strumenti destinati a testare la loro efficienza. Ecco un breve riepilogo di quelle che sono le grandezze e le metodologie che ricorrono quando si parla di un banco prova freni e sospensioni.

Note introduttive alla prova del sistema di sospensione
Prima di entrare nel merito della questione vale la pena sottolineare come la prova di una sospensione sia un test destinato a valutare l’efficienza del sistema nel suo complesso. Tanto per citare un errore di valutazione comune ricordo che una prova sospensioni su banco specifico non è in grado di valutare le sole condizioni dell’ammortizzatore ma bensì quelle dell’intero apparato. Inoltre la sospensione si caratterizza per alcuni parametri noti soli ai costruttori: la caratteristica frenante dell’ammortizzatore, ad esempio, che è funzione della velocità di scuotimento della ruota, è nota solo a chi ha progettato il veicolo. Per fare quindi una verifica dell’efficienza dell’ammortizzatore bisognerà testarlo come elemento singolo dopo averlo smontato dal veicolo.

Esempi di metodi utilizzati per eseguire la prova del sistema di sospensione
Uno dei metodi utilizzati è quello definito a caduta. Il veicolo in questo caso sale su delle rampe, generalmente alte una decina di centimetri, dopodiché la prova viene avviata. Le rampe vengono abbassate rapidamente e l’asse cade su una pesa che misura il peso dinamico dell’asse lungo tutto il periodo di oscillazione. E’ evidente che in una prova del genere confluiscono le vibrazioni della ruota ma anche della scocca.

Questo è un sistema per cui Cartec ha uno specifico brevetto e bisogna sottolineare come, in questo caso, si tratti di un metodo che offre velocità di esecuzione (circa 10 secondi) e condizioni di prova estremamente realistiche visto che la sospensione viene testata nella sua configurazione di esercizio. Il sistema inoltre offre buona ripetibilità ed elevata precisione.
Il secondo metodo utilizzato è quello definito a risonanza. In questo caso due piatti vengono mossi verticalmente provocando l’oscillazione delle ruota che rimane a contatto con essi. Ad un certo punto il motore che movimenta i piatti viene spento e di conseguenza viene misurato il movimento della ruota su tutto lo spettro di frequenza al fine di trovare quella di risonanza. I risultati che si ottengono sono specifici del veicolo e quindi è necessario avere una banca dati con le informazioni corrette del mezzo provato per poter interpretare correttamente i risultati. Questo metodo ha come vantaggi i seguenti: la prova non è influenzata dalla pressione di gonfiaggio dei pneumatici e dal peso del singolo asse, ciò che accade su un lato influenza molto poco quello che accade sull’altro ed inoltre si hanno buona ripetibilità e grande precisione di misura.

Un altro metodo è l’EUSAMA (European Shock Absorber Manufactures Association). La prova viene effettuata per ogni singola ruota con un ampiezza di movimento di 3 millimetri ed una frequenza fino a 25 Hz. Anche in questo caso quando il motore viene spento viene effettuata la misura. Il risultato che si ottiene è calcolato come segue:

Risultato = (minor peso dinamico ruota/peso ruota statico) x 100%.

Naturalmente minore è il peso dinamico della ruota e peggiore è lo stato del sistema di sospensione. In questo caso il risultato non è direttamente legato a dati specifici del veicolo.

Note per l’interpretazione dei risultati di una prova sospensioni con metodo a risonanza
Come criterio guida nell’interpretazione dei risultati possiamo stabilire che il parametro più importante che descrive la pericolosità del comportamento dinamico di una vettura è la dissimmetria delle efficienze delle sospensioni in quanto, in condizioni di fondo stradale non uniforme, o in cambi repentini di traiettoria, si possono manifestare, od amplificare, oscillazioni del telaio del veicolo e perdita di aderenza dei pneumatici. Giusto per dare i dati che si rilevano dai manuali d’uso dei banchi più diffusi possiamo dire che una sospensione con efficienza percentuale inferiore al 20% è da considerarsi del tutto insufficiente. Un’efficienza percentuale compresa tra il 20% ed il 40% è da considerarsi molto debole, o sufficiente per assi non motrici di auto che privilegiano il comfort alla tenuta di strada, mentre efficienze comprese tra il 40% ed il 60% sono sufficienti se, e solo se, la dissimmetria delle sospensioni rimane inferiore al 30%. Un’efficienza percentuale compresa tra il 60% e l’80% è da considerarsi buona mentre efficienze superiori all’80% sono ottenibili soltanto con assali di vetture nuove.

Prova freni su banco a rulli
La prova freni viene eseguita con gli assi del veicolo appoggiati sui rulli. Durante la prova l’operatore che si trova a bordo del veicolo frena su richiesta del software del banco che provvede a misurare la coppia frenante di ogni singola ruota. I risultati forniti sono quelli indicai qui di seguito.
Forza massima di frenatura
Forza di frenatura per la quale una delle due ruote dell’asse arriva alla soglia di slittamento predeterminata e misurata in modo automatico in tempo reale
Dissimmetria di frenatura
Rapporto tra il valore massimo della differenza delle forze di frenatura fra la ruota destra e la ruota sinistra di uno stesso asse ed il valore della forza di frenatura massima del blocco rulli
Efficienza frenante
Rapporto tra la sommatoria delle forze frenanti di tutte le ruote (alla soglia dello slittamento) ed il peso a vuoto del veicolo
Slittamento
Differenza tra la velocità periferica della ruota e quella dei rulli, rapportata alla velocità periferica dei rulli
Ovalizzazione
Rapporto tra la variazione della forza frenante di una ruota con sforzo al pedale costante, e lo sforzo massimo al bloccaggio
Resistenza al rotolamento
Forza frenante misurata sulla ruota in assenza di sforzo sul pedale
Aderenza
E’ il rapporto tra la forza frenante dell’asse (o della ruota) e la reazione verticale di appoggio delle ruote dell’asse (o ruota) considerato

Archivio immagini: Cartec




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Bill Mitchell e Zora Arkus Duntov
Stilisti ed ingegneri in lotta per far prevalere le proprie idee. Quello che vi racconto è lo scontro culturale tra un designer innamorato delle proprie creazioni ed un ingegnere di fama mondiale che voleva far prevalere praticità e razionalità. Ecco la breve storia di una discussione tra Bill Mitchell e Zora Arkus Duntov, due uomini che hanno fatto la storia della Corvette.

Lo scontro di opinioni tra stilisti e ingegneri è un argomento che ricorre spesso quando si parla di automobili; alcune di queste discussioni passano però alla storia. Io che ho un debole per la produzione automobilistica americana voglio ricordare ciò che accadde quando fu il momento di sviluppare la nota Corvette Stingray del 1963. I personaggi in questione sono due figure leggendarie dell’automobilismo americano: il primo, Bill Mitchell, allora vice Presidente del Centro Stile di General Motors verrà certamente ricordato come uno dei più grandi designer americani. L’altro, Zora Arkus Duntov fu un ingegnere di indubbie capacità che diede un contributo di notevole portata al prodotto Corvette.

Bene, due uomini incredibili ma molto diversi tra loro; sta di fatto che nel 1963, quando fu il momento di concretizzare il prodotto Stingray, nacque un’animata discussione oggetto della quale era proprio il lunotto posteriore sdoppiato che rese famosa la Stingray di quel periodo. Ad intervenire per sedare gli animi fu un personaggio al di sopra di tutti e dotato dei necessari poteri per mettere a tacere i due. Il suo nome era Ed Cole e lui era il General Manager del Gruppo Chevrolet. Mitchell, e il suo uomo di fiducia Larry Shinoda, allora chief designer, avevano sviluppato un linguaggio formale che esigeva per la Stingray del 1963 il noto lunotto sdoppiato. La costola di lamiera che separava i due vetri posteriori era il perfetto completamento di ciò che si poteva osservare guardando la parte frontale della vettura. Dal canto suo Duntov non era granché interessato all’espressione artistica che i due avevano sviluppato ed era, al contrario, seriamente preoccupato per i problemi di visibilità posteriore che tale soluzione offriva. La cosa era ancora più preoccupante se si pensa che la vettura doveva essere impiegata anche nelle competizioni. Fu così che in breve tempo quelle linee e quello stile che erano la passione di Mitchell divennero il tormento per Duntov. L’intervento di Ed Cole fu decisivo e fondamentale; ricordiamo a questo proposito che Ed Cole fu capo ingegnere del gruppo Chevrolet dal 1952 al 1956 data nella quale venne nominato General Manager. La decisione che Cole prese accontentò entrambi i contendenti e creò, allo stesso tempo, un mito: la Stingray del 1963.

Ciò che Cole decise, infatti, fu che entrambi i partecipanti alla discussione avevano ragione e pertanto, senza scontentare nessuno, decise che la Stingray con lunotto posteriore splittato sarebbe stata costruita per un solo anno, il 1963 e mai più. Questa fu anche l’ultima decisione che Cole prese nei panni di General Manager del gruppo Chevy visto che nel novembre del 1961 fu promosso executive vice president al posto di Semon E. Knudsen, un altro illustre personaggio di cui avrò modo di parlare.


Archivio immagini: General Motors