La rigidità flessionale e torsionale delle scocche moderne è un parametro importantissimo per garantire le necessarie doti di handling e il corretto comportamento a crash

I costruttori di automobili lavorano sempre più attentamente per migliorare le doti di resistenza delle scocche. Nella soluzione autoportante infatti la rigidità complessiva della carrozzeria è fondamentale per garantire alle sospensioni una base di appoggio sicura per poter svolgere il loro lavoro.

Un tempo la rigidità di una scocca veniva determinata anche dall’aggiunta di elementi come i vetri. Il contributo di questi componenti è sempre stato notevole ai fini della rigidezza complessiva della vettura ma oggi le cose stanno cambiando. Molte volte accade, infatti, che una stessa piattaforma venga utilizzata per realizzare più versioni di carrozzeria. Ciò implica la presenza di superfici vetrate di geometria ed estensione differente, cosa che può influenzare pesantemente le doti di resistenza dell’intera scocca. Proprio per questo motivo, ultimamente, i costruttori sono portati ad analizzare la rigidità delle scocche nude, meglio note come body in white (da qui in poi per brevità BIW).

La rigidità di una scocca si delinea quindi come la condizioni necessaria per ottenere confort di bordo, precisione di guida, tenuta di strada e stabilità. Naturalmente le due ultime voci (tenuta di strada e stabilità) sono strettamente legate al sistema di sospensione utilizzato ma è altresì vero che un buon sistema di sospensione vincolato ad un telaio non sufficientemente rigido non riuscirebbe a svolgere correttamente il proprio lavoro.
La misura della rigidità di una scocca viene eseguita attraverso una differente serie di test come ad esempio i test di flessione e torsione in condizioni statiche o ancora attraverso l’uso di opportuni banchi che provocano scuotimenti della scocca per simulare test dinamici molto utili per capire il comportamento dell’intera struttura BIW. A fianco a questi sistemi vengono affiancate tutta una serie di simulazioni numeriche che hanno il pregio di costare meno e dare, talvolta, risultati in tempi più rapidi.

Come a molti sarà già noto i risultati della prova di flessione in condizioni statiche vengono forniti attraverso numeri la cui unità di misura sono N/mm, ossia newton su millimetri. In pratica la scocca viene vincolata agli estremi (davanti e dietro) e attrezzata con misuratori di deformazione in modo tale che, durante l’applicazione di un carico, possa essere misurato lo spostamento dei diversi punti del telaio. Naturalmente l’applicazione dei misuratori di deformazione prevede l’installazione degli stessi in numerosi punti del telaio. Quest’ultimo viene poi, in genere, sollecitato da carichi applicati nella zona centrale. Quasi sempre in prossimità del montante centrale. Ecco che allora l’unità di misura assume un significato chiaro. I newton, infatti, misurano l’intensità della forza che bisogna applicare per ottenere una deformazione pari a un millimetro della porzione di telaio che si sta testando.
Seguendo più o meno la medesima filosofia viene misurata la rigidezza torsionale, questa volta in N/°. La scocca viene infatti sollecitata agli estremi in modo tale da essere messa in torsione e i risultati ottenuti rappresentano il carico che bisogna utilizzare, espresso in newton, per ottenere una deformazione della scocca pari a 1°.

Per quanto riguarda questo genere di prova i costruttori utilizzano sistemi leggermente differenti, soprattutto in termini di applicazione del carico. Molti, ad esempio, applicano il carico laddove vengono ancorate le sospensioni mentre in altri casi la sollecitazione viene applicata nella zona più estrema del telaio (ad esempio in corrispondenza dell’estremità dei longheroni anteriori).
Per quanto riguarda invece i test dinamici la situazione è oggi in piena evoluzione. Molti costruttori, ad esempio, hanno completamente abbandonato la misura della rigidità statica, di fatto poco indicativa, e sono passati ad una valutazione totale delle condizioni di sollecitazione dinamiche.

Le prove vengono effettuate attraverso banchi che consentono di vincolare la vettura in corrispondenza del sistema di sospensione. Una volta strumentata attraverso accelerometri la scocca viene fatta vibrare utilizzando frequenze di scuotimento variabili a seconda degli spettri che si vogliono testare. Gli accelerometri raccolgono naturalmente dati di accelerazione locale che di fatto sono conseguenza della rigidità della struttura. I numeri che vengono acquisiti con prove di questo genere non sono comparabili con quelli di una prova statica ma, in ogni caso, la tendenza di comportamento rimane la stessa. In altre parole al crescere della rigidità statica cresce anche quella dinamica.

Il problema della rigidezza di una scocca assume ancora più importanza quando si ha a che fare con vetture scoperte. In questo caso la mancanza della parte superiore della scocca che unisce i tre montanti a formare una sottostruttura, con determinate doti di resistenza, si fa sentire. Per questo motivo i costruttori, quando realizzano vetture cabrio, devono provvedere ulteriori rinforzi per mantenere inalterato il livello di rigidità del modello.
Bisogna infine fare attenzione ad un fatto di estrema importanza: se la frequenza di vibrazione di un sistema è uguale a quella di un altro può accadere che gli effetti si sovrappongano dando origine a vibrazioni fastidiose percepite dagli occupanti. Proprio per questo motivo generalmente si tende a spostare le frequenze di vibrazione della scocca verso le zone più alte in modo tale da evitare che tali condizioni vengano raggiunte durante l’uso quotidiano del veicolo.

Archivio immagini: Ford, General Motors




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Bill Mitchell e Zora Arkus Duntov
Stilisti ed ingegneri in lotta per far prevalere le proprie idee. Quello che vi racconto è lo scontro culturale tra un designer innamorato delle proprie creazioni ed un ingegnere di fama mondiale che voleva far prevalere praticità e razionalità. Ecco la breve storia di una discussione tra Bill Mitchell e Zora Arkus Duntov, due uomini che hanno fatto la storia della Corvette.

Lo scontro di opinioni tra stilisti e ingegneri è un argomento che ricorre spesso quando si parla di automobili; alcune di queste discussioni passano però alla storia. Io che ho un debole per la produzione automobilistica americana voglio ricordare ciò che accadde quando fu il momento di sviluppare la nota Corvette Stingray del 1963. I personaggi in questione sono due figure leggendarie dell’automobilismo americano: il primo, Bill Mitchell, allora vice Presidente del Centro Stile di General Motors verrà certamente ricordato come uno dei più grandi designer americani. L’altro, Zora Arkus Duntov fu un ingegnere di indubbie capacità che diede un contributo di notevole portata al prodotto Corvette.

Bene, due uomini incredibili ma molto diversi tra loro; sta di fatto che nel 1963, quando fu il momento di concretizzare il prodotto Stingray, nacque un’animata discussione oggetto della quale era proprio il lunotto posteriore sdoppiato che rese famosa la Stingray di quel periodo. Ad intervenire per sedare gli animi fu un personaggio al di sopra di tutti e dotato dei necessari poteri per mettere a tacere i due. Il suo nome era Ed Cole e lui era il General Manager del Gruppo Chevrolet. Mitchell, e il suo uomo di fiducia Larry Shinoda, allora chief designer, avevano sviluppato un linguaggio formale che esigeva per la Stingray del 1963 il noto lunotto sdoppiato. La costola di lamiera che separava i due vetri posteriori era il perfetto completamento di ciò che si poteva osservare guardando la parte frontale della vettura. Dal canto suo Duntov non era granché interessato all’espressione artistica che i due avevano sviluppato ed era, al contrario, seriamente preoccupato per i problemi di visibilità posteriore che tale soluzione offriva. La cosa era ancora più preoccupante se si pensa che la vettura doveva essere impiegata anche nelle competizioni. Fu così che in breve tempo quelle linee e quello stile che erano la passione di Mitchell divennero il tormento per Duntov. L’intervento di Ed Cole fu decisivo e fondamentale; ricordiamo a questo proposito che Ed Cole fu capo ingegnere del gruppo Chevrolet dal 1952 al 1956 data nella quale venne nominato General Manager. La decisione che Cole prese accontentò entrambi i contendenti e creò, allo stesso tempo, un mito: la Stingray del 1963.

Ciò che Cole decise, infatti, fu che entrambi i partecipanti alla discussione avevano ragione e pertanto, senza scontentare nessuno, decise che la Stingray con lunotto posteriore splittato sarebbe stata costruita per un solo anno, il 1963 e mai più. Questa fu anche l’ultima decisione che Cole prese nei panni di General Manager del gruppo Chevy visto che nel novembre del 1961 fu promosso executive vice president al posto di Semon E. Knudsen, un altro illustre personaggio di cui avrò modo di parlare.


Archivio immagini: General Motors